Riflessioni

Le epidemie di Camus di Saramago e il Covid-19. Nihil sub sole novum.

aprile 2021

di Claudio A. Giberti

In greco antico πανδήμος significa “di tutto il popolo, generale” e επιδήμος “del posto, di casa”. Il primo attributo è riferito pertanto a qualcosa che coinvolge tutti, per estensione anche tutta l’umanità,il secondo, solo una parte.
Sarebbe fantastica una pandemia di intelletto anziché di interconnessi esibizionisti.
Da parecchio tempo però si attribuisce ai due sostantivi “pandemia” e “epidemia” solo il significato riduttivo e preoccupante di infezione contagiosa (virale o batterica), potenzialmente con esiti fatali, diffusa nel mondo la prima, circoscritta la seconda.
Oggigiorno la parola “pandemia” evoca nel senso comune l’incubo dell’insidioso Covid-19 col suo odore di morte. Insidioso ma anche strachiacchierato ed equivoco perché tale l’anno reso le martellanti apparizioni mediatiche e i conseguenti comunicati scientifici o presunti tali, spesso contrastanti e fuorvianti, rilasciati anche da medici spinti più dall’ostentazione che dalla ragione.
Eppure la storia dell’umanità è costellata di pandemie. Solo negli ultimi 120 anni ce ne sono state cinque. Tre nel XX secolo: nel 1918-20 la “SPAGNOLA” da virus influenzale H1N1 che in tre ondate contagiò 1/3 della popolazione mondiale e provocò la morte di 50 /100 milioni di persone; nel 1957-58 la “ASIATICA” da virus influenzale H2N2 che causò 2 milioni di morti nonostante il vaccino fosse riuscito a contenerla; nel 1968-69 la “HONG KONG” da virus influenzale H3N2 con 4 milioni di morti.
Altre due nel primo ventennio del XXI secolo: nel 2009 la “INFLUENZA SUINA” da virus influenzale sottotipo H1N1, che circolava nei maiali dal 1918, ricomparso nell’uomo in forma modificata, che contagiò da 700 milioni a 1,4 miliardi di persone e causò 284.000 morti; nel 2019-21 la SARS-Cov2 (Covid-19) che finora ha contagiato circa 140 milioni di persone e sta provocandooltre3 milioni di decessi.
Nel 2016 il GHRF (Global Health Risk Framework for the Future) valutò nel 20% la probabilità che nei prossimi cento anni si potessero verificare quattro o più pandemie un’elevata probabilità che almeno una fosse di influenza. Tali previsioni si fondavano su solidi pilastri:

  • le numerose varianti conosciute di virus influenzali (18 sottotipi antigenici di H e 11 di N);
  • l’epidemia da EVD (malattia da virus Ebola) del 2014 in Africa occidentale con un tasso di letalità del novanta per cento. Il virus Ebola non solo aveva effettuato un salto di specie dai pipistrelli della frutta all’uomo e alle grandi scimmie ma aveva acquisito la capacità di passare da una persona all’altra attraverso i fluidi corporei e di infettare ospiti temporanei o amplificanti quali il maiale;
  • le epidemie da ZIKV(virus Zika) al di fuori dell’Africa: in Micronesia nel 2007 e nel 2015 in America Latina, specie in Brasile. Nel 2016 l’OMS ha dichiarato l’epidemia da virus Zika un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. Il virus è trasmesso da zanzare del genere Aedes divenute abbastanza comuni anche nei climi temperati dell’emisfero boreale come l’Italia ed altre zone del bacino del Mediterraneo. Possibile anche il contagio interumano tramite i fluidi corporei;
  • l’epidemia di SARS-Cov1 (Severe Acute Respiratory Syndrome-Coronavirus 1) del 2002-2003 che dalla Cina aveva viaggiato in 30 paesi infettando 8439 persone delle quali 812 erano morte. L’ultimo caso si registrò il 15 giugno del 2003. In quell’occasione la Signora Gro Harlem Brundtland, Direttore Generale della OMS ed ex Primo Ministro Norvegese disse:”La SARS ci sta insegnando parecchie lezioni. Ora dobbiamo tradurre queste lezioni in azioni. Potremmo avere poco tempo e dobbiamo usarlo nel modo più saggio”;
  • l’epidemia di MERS-Cov (Middle East Respiratory Syndrome – Coronavirus) che dal 2012 al 2015 infettò in medio oriente 1616 persone delle quali 624 morirono. Il Coronavirus della MERS risultò simile a quello della SARS ma da esso distinto così come dai Coronavirus del raffreddore comune.

La pandemia di SARS-Cov2 (Covid-19)e le ripercussioni ordine Individuale, sociale, economico, demografico,forse sarebbero state meno dirompenti se l’epidemia di SARS-Cov1 del 2003 fosse stata tenuta in giusta considerazione e le lezioni da questa apprese non fossero rimaste inattuate. Certo ha molto contribuito alla complessità della situazione anche l’occultamento iniziale dell’infezione virale da parte della Cina con un atteggiamento negazionista tipico dei regimi totalitari ed il conseguente ritardo nell’instaurazione di un efficace cordone sanitario per contenere epidemia. C’è da augurarsi che tali “mancanze” servano almeno da monito per il futuro.
Tornando alle conseguenze della pandemia, sono sotto gli occhi di ognuno le ferite inferte all’esistenza di molti esseri umani non solo dal Covid-19 di per sé ma anche e prevalentemente dalla “guerra” scatenata contro di lui: depressione mentale ed economica, frustrazione, isolamento, incomunicabilità, solitudine, senso di abbandono,ribellione e per i più sfortunati, privazione della dignità,disperazione.
Da Tucidide in poi molti scrittori hanno raccontato come gli esseri umani affrontarono in vari periodi storici le epidemie e le sofferenze che ne derivavano. A noi figli del “Bel Paese” basti ricordare il “Decameron” e “I Promessi Sposi”. Tuttavia nel XX secolo, due premi Nobel della Letteratura, il francese Albert Camus e il portoghese José Saramago, entrambi atei, dissidenti, vittime di polemiche ingiuste ed aggressive, hanno trattato l’argomento con due romanzi divenuti “di culto”:“La Peste” edito nel 1947 e “Cecità”nel 1995. Ambedue le opere sono intrinsecamente allegoriche. Camus racconta di una epidemia di Peste nella città di Oran in Algeria, Saramago di una surreale Amaurosi “bianca” (cecità psichica) in una città qualunque di un paese qualunque. Essendo le epidemie un fenomeno tanto biologico quanto sociale, gli autori focalizzano la loro narrazione prevalentemente sul secondo aspetto sebbene la descrizione dei segni e dei sintomi della malattia in “La Peste” sia degna di un trattato di semeiotica medica.
Nel romanzo di Saramago la cecità è altamente infettiva, rapidamente tutta la popolazione eccetto la moglie del medico, ne è contagiata: ”l’inesorabile biancore colpiva tutto”, “gli occhi avevano cessato di vedere eppure erano in perfetto stato”.La paura, l’incertezza, il pericolo, l’istinto di conservazione, rivelano la vera natura del genere umano: “è di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria”. La condizione umana col diffondersi della malattia, progressivamente tende a scivolare verso la bestialità. L’unica vedente esorta:” se non siamo capaci di vivere globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali”. “Ciò che ci separa dagli animali è la nostra capacità di sperare”. Tuttavia “la cecità è anche questo, vivere in un mondo dove non ci sia più speranza”.“Abbiamo sceso tutti i gradini dell’indegnità fino all’abiezione”.  C’è “la sporcizia dell’anima”.
Come in tutte le malattie di massa non mancano gli “approfittatori delle disgrazie”. “I forti hanno tolto il pane di bocca ai deboli”.
Saramago tra questi ciechi distingue quattro categorie di persone: ciechi degli occhi e dell’intelletto; ciechi negli occhi e ciechi nei sentimenti; ciechi degli occhi ma non dell’intelletto; avere gli occhi in un mondo di ciechi.
Quando l’epidemia di cecità giunge alla fine e i sopravvissuti riacquistano la vista il medico conclude dicendo: “secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che pur vedendo non vedono”.
Attraverso la metafora della cecità che rappresenta l’incapacità, il rifiuto dell’uomo di vedere oltre le apparenze e gli stereotipi preconfezionati, Saramago ci prospetta il tragico scenario verso il quale l’umanità si potrebbe avviare. La malattia accentua e slatentizza i problemi della società contemporanea verso i quali dobbiamo smettere di essere indifferenti rinunciando alla banalità, alla superficialità che pervadono la nostra vita altrimenti priva di speranza.
Nel romanzo di Camus gli avvenimenti hanno luogo in un anno imprecisato del decennio ‘40. “La peste” comincia con l’invasione di un’enorme quantità di ratti che vanno a morire in ogni parte della città. Compaiono i primi contagi tra gli esseri umani e si arriva alla spaventosa diagnosi di peste epidemica con migliaia di persone che muoiono fra atroci sofferenze.
La peste è una malattia infettiva causata dal batterio Yersinia pestis. Colpisce alcune specie di roditori ed è veicolata dalla pulce dei ratti. E’ trasmessa all’uomo dal morso della pulce infetta. Il contagio può avvenire anche da uomo a uomo attraverso i fluidi corporei. Clinicamente si manifesta in tre forme principali: bubbonica, setticemica, polmonare. Quest’ultima è la più grave perché consente la trasmissione del batterio per via aerea peggiorandone significativamente la contagiosità.
La città col suo porto viene isolata dal resto del mondo. Nessuno può entrare o uscire:“ provavamo così la sofferenza profonda di tutti i prigionieri e di tutti gli esiliati”. C’è il confinamento, il lockdown degli snob: “tutti erano sensibili a ciò che interferiva con le loro abitudini e toccava i loro interessila malattia spezzava i legami comunitari tradizionali e abbandonava gli individui alla loro situazione. Ciò suscitava grande smarrimento…(la peste) mise a soqquadro tutta la vita economica e creò così un numero considerevole di disoccupati”.
La comparsa della febbre comporta l’internamento del malato in strutture dedicate e la quarantena per i parenti: “diagnosticare la febbre epidemica voleva dire far portar via rapidamente il malato… i famigliari sapevano che avrebbero rivisto il malato solo guarito o morto…(quelli)vissuti a contatto col malato si trovavano in quarantena”. Si arriva a  “ vietare ai famigliari di partecipare alla cerimonia funebre”.
Il dottor Bernard Rieuxche si ribella all’assurdità della malattia e la combatte afferma:” l’ordine del mondo è regolato dalla morte, forse è meglio per Dio se non crediamo in lui e lottiamo con ogni forza contro la morte, senza alzare gli occhi verso il cielo dove lui tace”.In questa frase affiora l’esistenzialismo della rivolta di Camus,“l’homme ne doit être solitaire mais solidaire”.
Sono di Jan Tarrou, altro personaggio emblematico del romanzo, le considerazioni che risultano particolarmente appropriate anche nello stato di pandemia attuale da Covid-19:”è necessario prestare la massima attenzione per non rischiare, in un attimo di distrazione, di respirare in faccia ad un altro e di passargli l’infezione… l’uomo giusto, quello che non infetta quasi nessuno, è quello che si  distrae il meno possibile… sulla terra ci sono flagelli e vittime e, per quanto possibile, bisogna rifiutarsi di stare dalla parte del flagello”.
Ma esiste anche chi dalla peste trae giovamento e guadagno come il “rentier” Cottard. Per lui la peste è la miglior cosa che gli sia mai capitata. All’inizio del romanzo è un emarginato, bizzarro, con pendenze giudiziarie. L’epidemia gli permette di integrarsi nella società. Si arricchisce grazie al mercato nero. Non è la morte degli altri che sembra rallegrarlo ma il fatto che tutti siano nella stessa situazione “tout le monde dans la même  bain”. Al termine dell’epidemia spara sulla folla che festeggia per le strade.
Il romanzo, una allegoria della guerra e della dittatura, si conclude con parole di fiducia e speranza :“quel che si impara durante i flagelli, che ci sono negli uomini più cose da ammirare che cose da disprezzare”.
I due romanzi, al di là del loro profondo significato allegorico, pur in una visione differente della natura umana, più pessimistica quella di Saramago, più positiva e fiduciosa quella di Camus, dimostrano che la reazione del singolo e della società alle epidemie/pandemie non è cambiata rispetto al secolo scorso.
La malattia colpisce tutti, anche quelli che non ce l’anno, il malato è la società nel suo insieme.
Per questo, senza nulla togliere ai tecnici del Comitato Tecnico Scientifico CTS, del Ministero della Salute, le loro decisioni circa il Covid-19, scientificamente inappuntabili, andrebbero temperate e controbilanciate da un Comitato Umanistico, inteso come espressione di umanismo sartriano, affinché l’uomo e non il flagello e le relative statistiche resti sempre al centro dell’attenzione. Come diceva il mio illustre maestro il medico deve curare il malato e non la malattia altrimenti è un perdente. Con la pandemia il malato è la collettività, l’insieme dei singoli.
Ancora una volta niente di nuovo sotto il sole.